Buongiorno maestra!


Il 24 settembre del 1999 alle 7:30 entravo per la prima volta in una classe come insegnante.

Erano le 10 del mattino del 23 settembre 1999, giovedì, Milano era ancora un'utopia lontana, avevo 18 anni (e a ripensarci non mi sarei affidata nemmeno un criceto!) un diploma quadriennale magistrale e stavo facendo il bagno. Ero nella fase dello shampoo quando mia mamma, senza troppe cerimonie, aveva aperto di colpo la porta per portarmi il cordless gracchiante.
“È per te, la Grundschule (scuola elementare) di Frangarto (un paesino alle porte di Bolzano, ma dove si parla prevalentemente tedesco)!”
Risposi.
“Gutnmorgngrundschulefrangart, abbiamo bisogno di una maestra d’Italiano per un mese a partire da domani mattina, lei accetta? Sì o no?”
“…”
“Sì o no? Risponda perché abbiamo fretta, se no la metto in coda e passo avanti!” I sindacati devono aver provato un brivido inspiegabile lungo la schiena in quel momento!
Come me.
“Io… sì, accetto…”
“Bene, domani mattina 7:30 classe prima, da Bolzano ha un pullman che parte 7:05 da Piazza della Vittoria per Frangarto, porti la carta d’identità e il diploma per il contratto, se cambia idea ci telefoni alle 7:15, arrivederci.”
Rimasi catatonica per 5 minuti immersa nell’acqua con lo shampoo che mi colava sugli occhi e il telefono tutuante in mano. Era appena iniziata la mia "carriera"…

Il pomeriggio avevo più o meno lo stato psicofisico che io chiamo “da cane sull’autobus” e non sapevo che fare. 
Mi venne in mente che la madre di una delle mie migliori amiche era insegnante di Italiano L2 al Renon da 20 anni e quindi telefonai chiedendo aiuto…
Arrivai da loro nel pomeriggio, mi fecero un tè d’incoraggiamento, poi la madre prese un faldone di 10 kg color rosso paranoia e lo appoggiò sul tavolo con un tonfo.
Inforcò gli occhiali e mi chiese:
“Quando inizi?”
“Domani mattina!”
Guardò l’orologio, guardò me, guardò il faldone.
“Telefona a tua madre e dille che tornerai a casa dopo cena!”

Quella notte non dormii.
La mattina dopo ero sul pullmann.
Mezz’ora dopo ero nella mini aula insegnanti dalle pareti in legno, con le fotocopie che mi aveva dato la mamma della mia amica tra le mani tremanti.
Erano le 7:25.
Suonò la prima campanella della mia vita che mi avrebbe fatto entrare in un’aula stando dalla parte stretta della cattedra.
“Buongiorno, sono la maestra Jessica.”
“BuongioRno maestRa ciesika.”

Tutt’ora spesso torno a casa con lo stomaco serrato e gli occhi lucidi chiedendomi chi cavolo me l’abbia fatto fare quel mattino di 18 anni fa, in vasca da bagno con lo shampoo negli occhi, di accettare quel lavoro!?
Non voglio scendere nella retorica di chi fa questo mestiere, sulle frasi fatte del “è difficile ma e meraviglioso”, del doversi difendere dalle accuse del “ma sì lavori mezza giornata” anche se sai che è come se ne lavorassi due” etc etc. Non voglio sporcare quel momento con la banalità del fatto che in questo mestiere contano spesso più passione e  pratica della grammatica, degli stereotipi e delle polemiche.
Niente di tutto questo.
So solo che a cinque anni facevo la maestra per tutti i miei peluche e sognavo di diventare un’insegnante e in questi anni ho fatto anche tanti altri lavori (alcuni davvero fichi, in azienda, in case editrici!) ma un richiamo mi ha sempre portato a tornare a insegnare.
Sempre.
Ora insegno ai ragazzi mooolto più grandi, altre situazioni, altri problemi, altre soddisfazioni.
In classe mi sento a casa.

Ricordo quei 15 musetti della prima di Frangarto come se fosse oggi :)

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