La tua storia è la mia storia



Ho dei momenti particolari nella mia storia milanese di cui non ho quasi mai parlato. Momenti che risalgono al mio periodo universitario, ma hanno poco a che fare con la mia quotidianità di allora. Sto parlando dei miei appuntamenti con Baggio (per chi non fosse di Milano, non sto parlando del calciatore Roberto, ma di un quartiere alla periferia ovest della città!)
Un sabato al mese (a volte forse anche due) prendevo la linea rossa della metropolitana (allora abitavo in viale Monza) e attraversavo tutta la città per sbucare a Bande Nere.
Ora, questo nome all’inizio mi offriva una bella dose di adrenalina in stile randagia e canzoni di J-Ax perché mi dava sempre l’idea di arrivare in una zona difficile, di frontiera. Ero quella piccoletta in jeans, che se me l’avessero chiesto in zona Duomo, sarebbe scesa alle Bande Nere. Wow. Coraggiosa.
Stupidaggini a parte, dato che il nome in realtà viene da Giovanni delle Bande Nere, condottiero rinascimentale, arrivavo bella tranquilla alla fermata e da lì prendevo la linea 67 che è l’autobus che attraversava (e credo attraversi ancora) tutto Baggio fino al capolinea.
La periferia su di me ha sempre esercitato un fascino particolare e il bello è che non saprei spiegarlo il perché. Il viaggio in autobus mi piaceva (più della metro di sicuro!) perché mi piaceva osservare quello che c’era intorno e mi piaceva ancor di più, come sempre, immaginare le vite della gente.
Poi finalmente, a mezzogiorno, arrivavo dove dovevo arrivare.

La mia famiglia non è tutta a Bolzano, un pezzetto, da sempre, è anche a Milano. 
Lì infatti viveva la sorella di mia nonna, la mia prozia quindi, che ho sempre chiamato zia. 
Milano per me è anche mia zia e con lei, il suo quartiere. Ecco, mi piaceva tanto andare da lei, un po’ perché quando sei lontana da casa, avere il tuo pezzetto di famiglia ti fa stare bene e poi perché lei non era la vecchia zia da andare a trovare perché la tua famiglia ti dice di andare che se no farebbe brutto che sei lì etc etc. Io ci andavo perché mi divertivo. Perché andare a trovare mia zia era come andare a trovare l’amica che ti fa stare bene. 
Mia zia da giovane era bellissima, io le ho sempre detto che per me assomigliava a Juliette Binoche e lei, sospirando, mi diceva che gliel'avevano sempre detto. Ora, io sospetto che lei in realtà non sapesse chi fosse la Binoche, però di essere bella sì. Ricordo una sua foto, quando entravo in casa, di lei seduta su uno sgabello in minigonna. E penso a quante persone all’epoca sicuramente non sapessero chi fosse la Binoche ma quanto era bella mia zia sì!
Quella foto era stata fatta nel suo locale, sì, proprio suo, perché col compagno di una vita aveva anche un bar ristorante dove “Ci venivano quelli famosi sai?!” mi raccontava. E così quei pranzi e quei dopo pranzi diventavano un momento di ricordi e di risate, di aneddoti e pettegolezzi, sulla Milano grande dei famosi e quella più piccola di quartiere. Mi raccontava della cooperativa, della gente, del prestiné (il panettiere) e del nuovo parco che in primavera sarebbe stato splendido!
Mia zia era anche l’amica con cui scherzare e fare le pazzie, perché lei era così, scherzava con tutto e con tutti. Faceva i dispetti, imbrogliava a carte, faceva battute da adolescente e mi faceva volare via quelle tre ore lì da lei.
Mia nonna, più razionale e seriosa, anche se sorella più giovane delle tre, telefonava sempre mentre ero lì. E mia zia le rispondeva con mille battute, la prendeva in giro. E mia nonna la riprendeva, con antico affetto e le chiedeva come stava. Mia zia si ricomponeva e, facendomi le facce, le rispondeva sempre: “Tutto bene, tutti bene, io sto bene!” Anche quando ormai bene davvero non stava più.
Pranzavo da lei e poi alle 16 di solito avevo appuntamento o con le amiche o col mio compagno di allora in centro.
Alle 15 aspettava la 67 con me al capolinea, se era piena saliva su e dicendo “scusi sono anziana” si faceva cedere il posto da qualcuno e si sedeva. Io ormai sapevo e mi coprivo la faccia con le mani dall’imbarazzo. Appena l’autobus metteva in moto si alzava, mi spingeva sul sedile e scappava fuori. Dal finestrino mi salutava con la faccia furbetta. La zia Juliette Binoche di Baggio.
E così facevo il percorso a ritroso, 67, Bande Nere, metro rossa, fermata Duomo.
E lì tutto era diverso, tornava tutto come sempre, Milan, l'è un gran Milan.
La gente, i negozi, i locali, la modernità, le passeggiate.

Lontano eppure così vicino a quel quartiere che era la tua storia ma che è diventato anche un pezzo della mia storia.


p.s. quella della foto è la Binoche originale, ma la zia non era molto diversa ;)

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